I movimenti del feto

Come dico sempre alle mie pazienti che sono in dolce attesa, il monitoraggio dei movimenti del feto, percepibili più o meno dalla 20ma settimana di gravidanza, e’ di fondamentale importanza, anche se tutto questo non deve diventare fonte di ansia e di conteggi ossessivi.
Ogni bambino ha le sue abitudini e il suo modo di muoversi.

Il feto che si muove con regolarità ci comunica che è vitale e che sta bene: per questo è molto importante che le future mamme prestino attenzione alle variazioni del movimento del loro bambino, comunicando tempestivamente ai propri medici di riferimento o in ospedale – se hanno percezione di cambiamenti rispetto al solito, di frequenza o intensità oppure se notano un arresto improvviso e significativo di tali movimenti. Ciò che dico sempre e’ “il grande fratello lo fate voi ogni giorno perché ciò che succede in uno studio medico durante il controllo e’ solo un momento”.

Va però detto che ogni bambino ha un suo modo di muoversi e possiede abitudini proprie e caratteristiche, che si possono imparare a riconoscere: è importante quindi coglierne più che altro le variazioni, mentre non c’è un numero preciso di movimenti da poter definire “normale” per tutti e da dover conteggiare. La regola secondo cui si debbano infatti contare dieci
movimenti nell’arco della giornata è puramente teorico. Ciò che va notato è infatti un cambio di abitudini, cioè il non sentirlo liddove, in condizioni normali, ciò avviene.

I movimenti del feto diventano percepibili alla madre man mano che lo spazio intorno – nell’utero –  si restringe a causa della sua crescita, variano anche a seconda delle età di gestazione e possono essere recepiti come calci, rotolamenti e capriole, sussulti quando ha il singhiozzo, leggeri sfarfallii e fruscii; sono molto più frequenti solitamente al pomeriggio e alla sera ma anche questo è un parametro che può variare da feto a feto. Durante la notte i bambini generalmente sono più quieti e di norma presentano periodi di riposo e di sonno a intervalli (durante i quali ovviamente non sentirete muovere), che durano circa 20-40 minuti e raramente superano i 90. Le mamme che hanno già avuto figli si è visto che tendono a riconoscere i movimenti più presto.
Con l’avvicinarsi della 32ma settimana di gravidanza il numero e l’intensità delle attività fetali tendono ad aumentare, per poi stabilizzarsi fino al momento del parto.

È comunque importante percepire movimenti fino al momento del travaglio.

E se ciò non avviene?
Innanzitutto mangiare un po’ di cioccolata o comunque qualcosa di dolce, può esser di aiuto in quanto il dolce stimola il bambino a muoversi. Se questo tentativo andasse a vuoto sempre meglio far un controllo in ospedale o presso la struttura di riferimento.

Accorgersi dei movimenti fetali
La posizione della placenta o il fatto di essere in movimento e indaffarate o particolarmente stressate possono ostacolare la percezione dei movimenti del bambino in determinati momenti, soprattutto prima della ventesima settimana. Lo stato di calma e di rilassamento della madre invece facilita il monitoraggio dei movimenti fetali.

È prudente ritornare a fare controlli ospedalieri ogni volta che si rilevano variazioni significative dei movimenti fetali, anche se dovessero ripresentarsi subito, il giorno seguente a un controllo.
Ricordatevi sempre che solo una
Mamma può sapere cosa sta accadendo al proprio bambino e se l’istinto porta alla
Necessità di un controllo,
Mai esitare!

Gravidanza e CoVID-19

Gravidanza e CoVID-19
La gravidanza è sempre da considerare un momento, nella vita di una donna, unico, bellissimo, da godersi giorno per giorno perché fatto di piccole sensazioni che si ricordano per una vita.
È vero anche che ci sono anche momenti di apprensione che il più delle volte lo schermo di un ecografo che inquadra un cuoricino che batte tendono a dissolvere!

In questo ultimo anno però, soprattutto per le mamme al “primo viaggio”, le preoccupazioni delle donne in attesa sono certamente maggiori per i rischi della pandemia.
In tal senso è opportuno far chiarezza cercando di fornire le giuste indicazioni, al fine di porre le giuste attenzioni, per le future mamme in gravidanza in periodo di Covid-19.

Il virus si trasmette se stiamo vicini ad altre persone. Da qui l’importanza di portare sempre la mascherina che copra naso e bocca e di mantenere almeno un metro di distanza dalla persona con cui si sta parlando.
Non tutte le persone infette presentano una chiara sintomatologia (disturbi respiratori, assenza di gusto e odore, febbre). Ci sono persone, infatti, sane (asintomatiche) che diffondono il virus senza saperlo (portatori sani).
Da qui l’importanza di non abbassare mai la guardia, soprattutto in gravidanza, indifferentemente se si hanno contatti con persone sintomatiche o asintomatiche.

Seguite quindi le seguenti regole:

1) indossare sempre la mascherina nei luoghi pubblici coprendo sia la bocca che il naso. La mascherina va cambiata quanto meno quotidianamente.
2) lavare spesso le mani con acqua e sapone oppure con una soluzione alcoolica.
3) limitare il piu’ possibile il contatto e la vicinanza con altre persone. Se proprio lo devo fare meglio mantenere una distanza di almeno un metro.

In gravidanza i controlli medici vanno effettuati a cadenza mensile, secondo le indicazioni del proprio ginecologo, come avviene normalmente. Ciò che è importante sapere e’ che, contrariamente al normale, in ambulatorio può entrar solo la donna senza alcun accompagnatore al fine di limitare al minimo le possibilità di contaminazione. Si tratta di un sacrificio importante ma ciò che deve essere primario e’ la salute della donna e del feto.

In tal senso anche durante il ricovero in ospedale è garantita la presenza del coniuge in travaglio di parto, ma successivamente la presenza del papà è possibile solo in alcune fasce orarie. Assolutamente non è permessa la visita di altri parenti che potrete salutare via tablet o smartphone.

I punti nascita dei nostri ospedali sono sicuri e ti proteggono perché seguono rigorosamente le regole di sanificazione e separano in modo preciso le gravide negative da quelle positive per il virus.

Seguire queste semplici indicazioni permette di affrontare questo periodo di difficoltà riducendo al minimo qualsiasi rischio di contagio. Lascia che la gravidanza resti sempre e comunque un momento fantastico!

Il ciclo mestruale

Il ciclo mestruale

La durata del ciclo mestruale varia da donna a donna. In media, comunque, si può dire che un ciclo dura 28 giorni. Una variazione di tempo di 7 giorni in più o in meno deve esser comunque considerato normale. Il ciclo mestruale va considerato come l’orologio del sistema riproduttivo femminile (parliamo ovviamente di utero e ovaie) il cui funzionamento rende possibile il realizzarsi di una gravidanza. Il ciclo, infatti, è fondamentale per la preparazione degli ovociti e per la preparazione dell’utero alla gravidanza.

Il ciclo mestruale si fonda sui livelli di due ormoni, estrogeni e progesterone. La crescita del primo corrisponde a bassi livelli dell’altro e viceversa.

La Loro azione porta all’ispessimento della mucosa endometriale, elemento fondamentale al fine si realizzi l’impianto dell’embrione in utero, nonché la crescita dei follicoli nell’ovaio con sviluppo infine di un solo Follicolo che si considera dominante, il quale raggiunto circa i 20 mm di diametro scoppia con fuoriuscita dell’ovocita, normalmente intorno al 14esimo giorno del ciclo.

La cellula uovo viene quindi captata dalle fimbrie tubariche con possibilità di venir fecondato da uno spermatozoo nella porzione ampollare della tuba.
In caso di mancata fecondazione crollano i livelli di estrogeni e progesterone e ciò determina lo sfaldamento della mucosa uterina con conseguente sopraggiungimento del flusso mestruale.

Aborto sintomi e cause

ABORTO
Con questo termine s’intende un evento caratterizzato da un interruzione di gravidanza prima delle 20 settimane di gestazione. Si determina generalmente nel corso del primo trimestre secondo una curva dove la percentuale di abortivIta’ risulta esser molto alta a 6 settimane per poi decrescere fino ad arrivare a raggiungere livelli minimi alla fine del primo trimestre.

Un aborto può determinarsi per diverse ragioni, la maggioranza delle quali non imputabili alla gestante, in primissima motivo di natura genetica. Lo sviluppo dell’embrione infatti deriva dalla fusione del DNA materno e paterno con formazione di un nuovo DNA che in caso di aborto può contenere qualche errore nella sua sequenza che porta all’impossibilità di questa gravidanza di poter andare avanti ed esser quindi considerata incompatibile con la vita esterna. 7 donne su 10 sperimentano questo evento, quindi molto frequente.

La sintomatologia correlata all’evento abortivo e’ diversa, a secondo dell’epoca di gravidanza.
In alcuni casi l’aborto si determina molto velocemente e precocemente tanto da non esser nemmeno certi di esser realmente in gravidanza.
In generale i sintomi correlati ad aborto sono:
– Flusso mestruale abbondante
– Dolore addominale crampiforme con irradiazione in zona lombare

Esistono diverse tipologie di aborto che dipendono dalla presenza o meno dei sintomi e dall’epoca gestazionale.

Aborto spontaneo completo: caratterizzato da un flusso mestruale
molto abbondante. Al controllo ecografico la cavità uterina appare vuota e lo spessore dell’endometrio sottile. In questo caso non c’è bisogno di ricovero ospedaliero.

Aborto spontaneo incompleto:
caratterizzato da perdite ematiche vaginali ma al controllo ecografico persistono residui coriali in utero. In questo caso si può ricorrere ad una terapia farmacologica con controllo ginecologico dopo una settimana oppure, meno probabile, ricovero in ospedale per intervento chirurgico di revisione della cavità uterina.

Aborto ritenuto: in questo caso la paziente difficilmente avverte sintomatologia e la diagnosi viene posta durante un controllo ecografico dove non si rileva attività cardiaca fetale. In questo caso si può scegliere se intervenire per via farmacologica o per via chirurgica.

Aborto settico: l’evento abortivo si determina per un processo infettivo endouterino.

Come già detto in precedenza la principale causa di aborto nel primo trimestre è di natura genetica.

Si può determinare uno dei seguenti quadri:
– L’embrione si forma ma smette di svilupparsi prima dell’insorgenza della sintomatologia clinica.
– Si forma la camera gestazionale ma non si forma l’embrione nel suo contesto (BLIGHTED OVUM)
– Entrambi i cromosomi derivano dal padre, non si determina sviluppo del feto (gravidanza molare)
– I cromosomi materni rimangono ma il padre fornisce ambo i cromosomi (gravidanza molare parziale)

Altre cause:
– Malnutrizione
– Uso di droghe o alcol
– Età materna avanzata
– Patologie tiroidee
– Terapia ormonale
– Diabete non controllato
– Infezioni
– Traumi
– Obesità
– Insufficienza cervicale
– Anomalie congenite dell’utero
– Ipertensione
– Disturbo della coagulazione

Per ciò che riguarda la prevenzione di un evento abortivo l’unica cosa da fare è condurre una gravidanza sana.

Di seguito alcune raccomandazioni:
– Fare i regolari controllo della gravidanza come da protocollo
– Evitare alcolici, droghe, fumo in gravidanza
– Mantenete un peso corporeo adeguato mettendo non più di due chili al mese
– Evitare possibili infezioni: lavare le mani e star lontano da persone con malattie
– Limitare assunzione di caffeina a non più di 200 milligrammi al giorno.
– Prendere complessi Multivitaminici per assicurarsi che al feto giungano tutti i nutrimenti di cui ha bisogno.
– Fare una dieta bilanciata ricca di frutta e verdure.

È importante ricordarsi che vivere un evento abortivo non significa che questo si debba ripresentare. Va infatti considerato un evento casuale nel caso in cui si verifichi solo una volta.

Nel caso invece di due eventi abortivo successivi occorre effettuare indagini più approfondite in centri specializzati

Gestosi

Con il termine preeclampsia s’intende una complicazione della gravidanza potenzialmente pericolosa sia per la mamma sia per il neonato.Studi epidemiologici dicono in Europa, la preeclampsia si manifesta in circa il 5% delle gravidanze anche se si tratta di una percentuale che andrà incontro ad aumento tenuto conto dell’aumento dell’età  media della donna che ottiene l sua prima gravidanza, dell’obesità e della maggiore frequenza di malattie croniche come il diabete.

I segni iniziali della preeclampsia sono la pressione alta e la presenza di proteine nelle urine. Segni meno frequenti sono: dolore addominale, forte mal di testa, nausea e vomito, alterazioni della vista, tremori alle mani e aumento di peso di oltre 5 chili in una settimana. Se si nota la comparsa di uno di questi disturbi (sintomi) è importante rivolgersi immediatamente alla Struttura ospedaliera di riferimento.

Quale possa essere la causa della preeclampsia non è ancora possibile saperlo. Un malfunzionamento della placenta sembra essere la teoria più accreditata con conseguenza finale il rallentamento della crescita del feto all’interno dell’utero.

Tra i fattori che possono aumentare la probabilità di sviluppare la preeclampsia:
diabete, ipertensionE, malattie renali preesistenti la gravidanza
patologie autoimmunitarie come la sindrome da anticorpi antifosfolipidi
preeclampsia in una precedente gravidanza
familiarieta’ per preeclampsia
età oltre i 40 anni
gravidanza gemellare
Obesità

L’insorgenza della patologia può esser improvvisa o preceduta da rialzo pressorio in gravidanza.
Come detto, insegni principali di preeclampsia sono l’ipertensione e la proteinuria, ma, anche in assenza di proteinuria, è possibile diagnosticare la preeclampsia con i seguenti segni come:
la riduzione delle piastrine (<100.000/mm3),
danni nella funzionalità del fegato (livelli di transaminasi raddoppiati rispetto alla concentrazione normale),
insufficienza renale (creatinina sierica >1,1 mg/dl)
l’insorgenza di sintomi neurologici.
Il parto rappresenta la cura risolutiva della preeclampsia. Per questo motivo, la donna colpita è tenuta strettamente sotto controllo fino a che non sia possibile far nascere il bambino. In caso di sospetto della malattia la donna, in genere, è ricoverata in ospedale per ulteriori indagini specialistiche e per le eventuali cure necessarie.

Se, la diagnosi di preeclampsia viene confermata, dovranno essere eseguiti, in ospedale, una serie di accertamenti che comprendono:
monitoraggio della pressione arteriosa
regolari esami delle urine per accertare la presenza di proteine
esami del sangue per accertare la funzionalità di reni e fegato
controllo dello stato di salute del bambino mediante eventuali ecografie per verificare il flusso di sangue attraverso la placenta, misurare la crescita fetale e osservarne i movimenti e, in base alla settimana di gravidanza, la cardiotocografia.

Il parto rappresenta la cura risolutiva per la madre perché la protegge dall’insorgenza di eventuali complicazioni.
In presenza di preeclampsia, la possibilità di attendere a indurre il parto è presa in considerazione solo prima della 37esima settimana di gravidanza, se il bambino è troppo piccolo per venire alla luce.

Il parto vaginale rappresenta la prima scelta nelle donne in gravidanza con pressione alta e/o preeclampsia, fatta salva la presenza di altre indicazioni che rendano necessario il taglio cesareo.

Anche dopo il parto e le dimissioni dall’ospedale è bene tenere la pressione sotto controllo e potrebbe essere necessario continuare a prendere i farmaci antipertensivi per alcune settimane. Generalmente, la pressione alta (ipertensione) si risolve entro 6 settimane dal parto.

La Cervicite Diagnosi Cause Trattamento

La Cervicite

La cervicite è un’irritazione o infezione della cervice determinata da diversi fattori. La cervicite può essere acuta o cronica. Nella forma acuta, la patologia è caratterizzata dall’improvvisa comparsa di sintomi, anche gravi; nella forma cronica, invece, si parla di un quadro patologico con durata della sintomatologia anche di diversi mesi o, addirittura, anni.
Ma quali sono le cause della cervicite? Come riconoscerla? Come comportarsi dinanzi ad una simile condizione che, evidentemente, merita un approfondimento clinico da parte del proprio medico di riferimento?
La cervicite può essere causata da un discreto e vario numero di infezioni sessualmente trasmissibili, tra cui la gonorrea, la clamidia, l’herpes e la trichomoniasi.
Anche se è vero che ogni donna affetta da cervicite può avere sintomi diversi, quelli che sono generalmente sperimentabili in quasi tutte le pazienti sono:

perdite purulente,
dolore pelvico,
sanguinamenti intermestruali o dopo un rapporto sessuale,
problemi urinari.

La cervicite origina spesso da una vaginite con risalita dei germi verso l’alto andando ad interessare il collo dell’utero, con successiva infiammazione del tessuto della cervice fino al formarsi di una vera e propria lesione.
Un primo segno di questa condizione e di questa evoluzione è la presenza di secrezioni vaginali simile a pus.

La diagnosi di questa patologia passa dalla raccolta accurata dell’anamnesi, da un attenta visita medica. e dal sottoporsi a test per clamidia, gonorrea, herpes e trichomoniasi che costituiscono il gruppo principale di determinanti della cervicite.

In linea di massima il trattamento specifico per la cervicite dipende da una serie di elementi utile alla valutazione, come:

età, stato di salute generale, anamnesi medica,
estensione della malattia,
tipo e gravità dei sintomi,
tolleranza ai farmaci per procedure o per terapie specifiche,
le aspettative sul decorso della malattia,

Il trattamento della cervicite sarà evidentemente volto a ridurre i sintomi e prevenire la diffusione dell’infezione. In tal senso la terapia antibiotica sarà utile a debellare gli organismi infettanti. La terapia va estesa anche al patner per evitare di venir reinfettati successivamente secondo un meccanismo definito ” a ping-pong”.

in caso di mancato trattamento della cervicite, gli organismi infettanti possono spostarsi verso l’alto interessando il corpo dell’utero fino alle tube di Falloppio. Tale condizione può, quindi, portare allo svilupparsi di una malattia infiammatoria pelvica che, in casi estremi, può causare infertilità e peritonite.

Cosa fare quindi quando si sospetta una cervicite?
il primo passi da fare è quello di richiedere una visita da parte del medico curante, che sarà utile per poter accertare l’esistenza della patologia e per poter avviare il percorso di trattamento più efficace.
Utile sarà presentarsi a visita con il proprio patner al fine di poter meglio comprendere l’importanza di una terapia farmacologica da effettuare come coppia, contemporaneamente, facendo ognuno i propri esami al fine di giungere alla risoluzione della patologia.

Ghiandola di Bartolino

Cosa è la Cisti della Ghiandola del Bartolini?

Le ghiandole di Bartolini sono un paio di ghiandole di dimensioni di un pisello che si trovano appena dietro e ai lati delle grandi labbra. Le ghiandole non sono solitamente visibili perché sono raramente più larghe di 1 cm.

Le ghiandole del Bartolini secernono fluido che, attraverso piccoli condotti, giungono in vagina. La loro azione è quella di lubrificare l’ambiente vaginale durante i rapporti sessuali.
Quando questi condotti si ostruiscono il
liquido si accumula all’interno della ghiandola fino a formare una cisti.

Chi è interessato?
Coloro che sono maggiormente interessate a questo problema sono donne sessualmente attive tra i 20 e i 30 anni.
Rare risultano invece nei bambini e dopo la menopausa.

Il motivo per il quale si determina l’istruzione dei condotti non si sa, ma in alcuni casi la causa scatenante è da associare ad infezioni batteriche sessualmente trasmissibili (STI) come la gonorrea o la clamidia o altre infezioni batteriche come da Escherichia coli (E. coli).

La sensazione avvertita da gran parte delle donne è legata alla comparsa di un grosso nodulo a livello vulvare che può causare problemi sia per quel che riguarda la deambulazione, sia per l’insorgere di dolore.
Nella pratica quotidiana problemi, quindi, possono manifestarsi nel camminare, nello star seduti o nei rapporti sessuali.

All’ispezione della vulva ciò che risulta evidente è l’asimmetria che si determina tra i due emilati dove un lato può sembrare gonfio o più grande del solito.
La cisti nel suo interno può presentare materiale biancastro riferibile a pus.
La superficie esterna della cisti diventa invece rossa, gonfia, tesa e calda.
Può comparire anche un rialzo della temperatura corporea che può raggiungere o superare i 38 ° C.

Come vengono trattate le cisti di Bartolini?
In assenza di sintomi evidenti la cisti non viene trattata ma si aspetta semplicemente la sua evoluzione.

Se, invece, subentra il dolore, il trattamento può esser medico o chirurgico.
Il trattamento medico consiste nel prendere per bocca un antidolorifico, un antibiotico ed un protettore gastrico, mentre localmente si effettuano degli impacchi di acido borico per favorire la risoluzione oppure immergere la cisti in acqua calda diverse volte al giorno per 3 o 4 giorni.

Il trattamento chirurgico consiste invece nella sezione della cisti, svuotarla del suo materiale e lasciarla aperta (marsupializzazione) in modo che il tessuto sano si ricomponga dal basso.

A volte la cisti di Bartolini può tornare dopo il trattamento.

Prevenire lo sviluppo di una cisti della ghiandola del Bartolini non è semplice in quanto non se ne conosce la causa ma, sapendo che può esser collegata ad infezioni sessualmente trasmissibili, l’utilizzo del preservativo può aiutare a ridurne lo sviluppo.

Ecografia del terzo trimestre

Ecografia del terzo trimestre di gravidanza

Nel corso della gravidanza, dopo aver fatto una prima ecografia a 11-13 settimane, spesso associata al calcolo del rischio per Sindrome di Down, ed una seconda importantissima ecografia definita “morfologica o morfostrutturale” a 20-22 settimane, prima della fine della gravidanza si effettua una terza ecografia detta ecografia del III trimestre o ecografia dell’accrescimento.
Si effettua fra la 28° e la 32° settimana di gestazione ed ha il compito di rivalutare alcuni distretti fetali, capire come e quanto funziona la placenta e, quindi, capire quanto stia crescendo il feto in termini di peso.
Nel poggiare la sonda ecografica sul pancione si valuta per prima cosa la presentazione del feto: cefalica (con testa in giù), podalica (con testa in su) o trasversa (con testa a destra e culetto a sinistra o viceversa).
Si tratta semplicemente di un dato da registrare nel referto ma certamente non definitivo in quanto il feto ha ancora la possibilità di muoversi e cambiare posizione. Da questo dato si passa quindi allo studio del feto, in quanto il vostro futuro bambino continua a svilupparsi nel corso delle settimane e quindi va fatto un accurato riesame degli organi principali, in particolare delle strutture cerebrali, del cuore, dei reni e visualizzare correttamente stomaco e vescica. Particolare importanza rivestirà anche la misurazione della circonferenza cranica, diametro della testa, circonferenza addominale e lunghezza del femore che permetteranno di ottenere una prima stima del peso fetale. in tal senso si potrà capire se tale stima risulta coerente con le settimane di gestazione oppure si tratta di un peso al di sotto o al di sopra del range di normalità.
Infine si controllerà la placenta per capire se ha un aspetto “sano”, segno che il frigorifero è ancora pieno, oppure nel suo contesto si visualizzano aree di discontinuità che fanno pensare ad una placenta che non ha ancora molto da offrire.
Dopo, poi, una visualizzazione di massima del liquido amniotico, si potrà procedere, qualora si abbia un apparecchio ecografico di buon livello, ad effettuare un esame 4D per ottenere un bel volto fetale.
L’esame 4D dipende molto dalla posizione del feto e dal quantitativo di liquido amniotico che si interpone tra il viso fetale e la placenta.
Il più delle volte è questa foto l’atto conclusivo dell’esame ecografico. Il prossimo passo infatti sarà il vederlo dal vivo..un emozione unica dopo tanta attesa!

Dottore cosa succede se il bambino ha il Culetto in giù?

Dottore cosa succede se il bambino ha il Culetto in giù?

La presentazione podalica del feto, quella nella quale ecograficamente si visualizza il feto con la testa in alto e il culetto in basso, è una condizione individuabile ecograficamente durante la gravidanza, finanche durante l’ecografia del terzo trimestre. La persistenza della posizione podalica nel terzo trimestre si affronta fornendo alla futura mamma dei consigli su come aumentare la possibilità di un rivolgimento del feto in modo da potersi porre nella posizione corretta per poter partorire ( con la testina in basso e il culetto in alto). Le manovre consigliate sono: star carponi a casa su un tappeto e muovere il tronco avanti e indietro oppure andare in piscina a nuotare e/o far capriole in acqua.

Altro metodo può essere l’utilizzo della moxa. Questa tecnica, utilizzata molto nei paesi anglosassoni, si basa sull’utilizzo di un sigaro di artemisia che viene acceso e posto a poca distanza da un punto preciso del piede. Il razionale di questa tecnica sta nella convinzione che si determini un alterazione dei liquidi corporei (come lo è il liquido amniotico) e questo fenomeno favorire il rivolgimento.
Altra tecnica è l’utilizzo dell’agopuntura ponendo gli aghi in posizioni precise del corpo.

E se queste tecniche non ottengono i risultati sperati? Il taglio cesareo è inevitabile?

In alcuni centri, tra cui il nostro a San Vito al Tagliamento, esiste la possibilità di poter ricorrere alla tecnica del “rivolgimento esterno”. Si effettua intorno alla 36 esima settimana e va effettuata nei pressi della sala parto in modo tale da poter intervenire tempestivamente nel caso subentrasse qualche problema (bradicardia fetale per cui bisogna intervenire con taglio cesareo urgente, evenienza comunque molto rara).
Il rivolgimento esterno può esser effettuato da uno o due operatori e viene effettuato sotto controllo ecografico. In pratica, una volta visto con esattezza la posizione del feto è, quindi dove si trova testa, schiena e sedere del feto, con una mano si solleva il culetto dalla pelvi e con l’altra mano si effettua una delicata pressione sulla testa del feto portandolo a far una capriola in avanti o indietro al fine di raggiungere la corretta posizione per aver la possibilità, quando sarà il momento, di partorire. Nella nostra unità le percentuali di successo sono abbastanza alte e la tecnica viene effettuata con tutti i criteri di sicurezza.

Di fondamentale importanza è il concetto che il cesareo è sempre un intervento chirurgico e riuscire ad evitarlo è sempre meglio!
Ovviamente se anche la tecnica del rivolgimento esterno non desse i frutti sperati non resterà che programmare un cesareo intorno alla 39 esima settimana. Anche però il giorno stesso dell’intervento chirurgico si effettuerà un ultimo controllo ecografico nella speranza che il feto abbia fatto da solo la tanto sospirata capriola.

Uso di sostanze alcoliche e droghe in gravidanza

Bere alcolici e assumere droghe in gravidanza può causare seri problemi al feto. In tal senso
l’assunzione sia di alcolici che di sostanze stupefacenti dovrebbero esser sospese già prima diprovare ad avere un bambino. Questo è importante perché:
l’assunzione di alcolici o talune droghe può esser dannoso per la gravidanza;
le donne non sempre sanno di esser incinte già dalle prime settimane di gestazione.

Le donne che desiderano una gravidanza dovrebbero sempre chiedere al proprio medico quali farmaci possono prendere. Infatti, alcuni farmaci non sono sicuri in gravidanza. Neonati di madri che assumono alcoolici in gravidanza possono andare incontro alla “fetal alcohol syndrome”

Si tratta di una sindrome responsabile di danni cerebrali e ritardo di crescita. Se paragonati a bambini normali, quelli con FAS tendono ad avere una stima del peso inferiore rispetto al range di normalità ed hanno teste più piccole (microcefalia). Durante lo sviluppo questi bambini presentano problemi cognitivi e motori.

Assumere alcolici in gravidanza può anche portare le donne a perdere il feto dopo le 20 settimane di gravidanza (morte fetale) in percentuale superiore rispetto alle gravidanze normali.
Per quel che riguarda l’assunzione di sostanze stupefacenti, gli effetti della loro assunzione in gravidanza è ancora dibattuto, in quanto a volte risultano dannose, altre volte non influiscono sulla gravidanza. Molto dipende dal tipo di droga assunta, dal quantitativo assunto, dal numero di volte in cui se ne fa uso.

Il fatto di non aver dati certi a riguardo dipende dalla difficoltà di poter effettuare
degli studi scientifici a riguardo. Spesso gli effetti dannosi in gravidanza derivano dal fatto che all’uso di droghe si associa il contemporaneo uso di alcolici o fumo.

Nel corollario delle droghe utilizzabili, studi importanti sono stati rivolti sulle seguenti sostanze:
Eroina o altri farmaci oppioidi: donne che usano eroina in gravidanza sono a rischio di
patologie che possono essere dannose per loro stesse e i loro bambini (p.e. infezioni). I
bambini di madri che fanno uso di eroina possono aver un peso inferiore rispetto a donne che non fanno uso di droghe o avere un’importante patologia detta sindrome da astinenza da oppioidi” quando nascono.

Questi stessi problemi possono accadere se una donna gravida prende farmaci antidolorifici chiamati “oppioidi” o “narcotici”.

Cocaina – donne in gravidanza che utilizzano cocaina possono verosimilmente avere problemi con la placenta. La placenta è un organo che si forma tra la madre e il suo bambino durante la gravidanza. Essa porta nutrienti e ossigeno al bambino.

L’utilizzo di cocaina può portare ad un distacco di placenta prima del parto con grave pericolo per la vita della madre e del feto. Bambini nati da madri che utilizzano cocaina durante la gravidanza hanno una possibilità maggiore di nascere prematuramente ed esser più piccoli con conseguenze su sonno, vista, respiro e udito.

L’utilizzo di altre droghe come la mariuana o le metaenfetamine durante la gravidanza potrebbero anch’esse causare problemi al neonato alla nascita durante l’infanzia.

In gravidanza, quindi, se si assumono alcolici e/o droghe, è importante parlarne con il vostro medico. Lui o Lei saprà consigliarvi per il meglio sul da farsi. Se si fa uso di alcolici, eroina, farmaci oppioidi, sospendere repentinamente l’assunzione può esser dannoso per la donna e per il bambino. Il tuo medico può aiutarti in questo processo seguendo una graduale riduzione dell’assunzione di queste sostanze in modo da non creare conseguenze importanti al feto.